Le vergini suicide (Jeffrey Eugenides)


C'è qualcosa di meraviglioso nella scrittura di Eugenides. La parola "meraviglioso" va compresa nella sua eccezione esatta e non una generica e stantia espressione di apprezzamento paragonabile a "fico!".
Meraviglioso dunque nel senso di un vero stupore al cospetto di una cosa mirabilis. La storia delle sorelle Lisbon può sembrare per ambientazione, tempo e modalità di racconto uno dei tanti bildungsroman all'americana. Un gruppo di adolescenti alle prese con la scoperta della vita. Una sorta di Stand By Me con il pizzico in più del primo erotismo adolescenziale. E invece la storia di Eugenides ha qualche cosa di più. Dalle sorelle destinate ad una invincibile fine tragica si sprigiona un'aroma che è quello del primo approccio all'altro sesso. Con autentico stupore. Un giorno le solite rompipalle incapaci di giocare a pallone, il giorno dopo l'unica vera meraviglia di madre natura. E di nuovo, come in ogni grande narratore, non esiste una "tecnica" che riesca a descrivere questa meraviglia. Essa scaturisce, in modo inaspettato, in una pagina o in un'altra. Senza che il lettore possa difendersi. Proprio come succedeva quando il profumo di una delle compagne di scuola ti accarezzava invisibile e inaspettato. E tu ti arrendevi irrimediabilmente.

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