La bandiera no grazie

L'altra mattina ho spiegato così a Sofia l'assenza della bandiera tricolore dal balcone di casa:

"Hai presente la Juve e il Toro? Quando giocano (hanno giocato o giocheranno) la partita si mettono una maglietta di colori diversi per riconoscersi. E poi giocano uno contro l'altro. E' un po' come indossassero una bandiera. Io credo sia venuto il momento, in questo mondo, di cominciare a giocare insieme e non contro. Se ci fosse qualcosa simile alla bandiera del mondo mi piacerebbe sventolarla."

A differenza di molti mi sono sentito sempre molto orgoglioso di un paese che non la menasse tanto con i concetti di patria bandiera e inno nazionale e che nello stesso tempo si senta csì indissolubilmente legato alla propria apparteneza ad un luogo. Un popolo che non ha bisogno di sventolare per sentirsi italiano. Quanti, davvero, si sono vergognati di essere italiani? Pochissimi. Abbiamo affermato la nostra italianità ai quattro venti con una caparbietà assimilabile soltanto a quella degli ebrei e dei tifosi granata. Ma senza bandiere. Al posto di patria, un concetto concreto di "casa". Quella era l'Italia che mi piaceva.

Io mi sento italiano, non c'è nulla che mi potrà impedire di esserlo e di esserlo anche con orgoglio. Mi sento differente (e non diverso) da un tedesco o da un giapponese. E' una consapevolezza talmente radicata che è difficile da rappresentare. E non lo fa certo una bandiera, una struttura politica, dei confini, o una canzonetta.

Eravamo uno dei popoli più consapevoli della propria specificità, tanto che non avevamo bisogno di dimostrarlo. Ora ci stiamo perdendo dietro ad aridi rituali. Dovremmo imparare ad amarci un po' di più per quello che siamo: incostanti, pasticcioni, con scarso senso civico. E pace. Liberi però di sentirsi italiani senza per questo farlo diventare una bandiera sciovinista che ci divide dagli altri.  

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