Ritorno al Giardino Segreto (55 anni insieme)

Domenica mattina, mi vesto elegante, mi metto la cravatta, mi guardo allo specchio (operazione non scontata nel giorno di festa). Decido sia il caso di farmi la barba. Oggi è un giorno speciale: vado dai custodi del giardino segreto a festeggiare 55 anni del loro matrimonio. Non sono mai riuscito a chiamare casa, la casa del giardino segreto. Eppure fa parte della storia della nostra famiglia da almeno settant'anni, da quando Tumlìn la comprò con l'osteria, il tabià, il magazzino e la cantina annesse. E il giardino.

Eppure è la costruzione che più ha funzionato come casa che io possa immaginare. Prima di tutto ci sono cresciuto. Tutte le estati, tutte le domeniche, tutti quei giorni che un bambino passa in perfetta libertà a costruire un pezzo la volta quei ricordi che da grandi diverranno struggente nostalgia.

Ci è morto Tumlìn, l'uomo che senza parlare ha forgiato molte delle cose più belle di me. Ci è morta Teresa, che mi ha trasmesso, con la sua cucina, il saper godere il sapore delle cose intense. Anche quelle che non si mangiano. E poi c'è il giardino segreto. Ci ho passato diverse estati, da solo, in quell'isola circondata da mura, a leggere ogni sorta di avventura. Protetto, rinfrescato, pieno dell'odore delle cose che crescono in silenzio. E ci è cresciuta Sofia.

Nei periodi peggiori della mia vita adulta ci sono andato a dormire in quella casa. Nelle mie case cittadine mi svegliavo di notte o la mattina all'alba ricoperto di angosce e pensieri irrisolvibili. Finché il venerdì sera scappavo, col treno, in macchina, fino alla casa del giardino segreto dove i due custodi mi aspettavano per cena, senza fare domande e mi lasciavano dormire la mattina fino a tardi e il pomeriggio circondato da libri che, liberato, riuscivo di nuovo a leggere. E la domenica sera, o il lunedì all'alba, l'angoscia tornava a buttarmi giù dal letto. Due giorni intontito di un sonno pesante mi aiutavano a riportare l'esistenza su binari meno assoluti.

Mina e Dino. Hanno fatto la guerra tutti e due. Sono emigrati e sono tornati. Boom economico, la casa col mutuo, il figlio unico, la morte dei genitori, la morte dei fratelli, la vecchiaia. Sempre insieme. Lui quest'anno 87, lei 79.

Gli dedicano la messa delle undici e poi si va a festeggiare con l'arrosto alla nocciola e l'anatra all'Arneis da Matteo. Si parla di tutto, del passato soprattutto, del fatto che nel cortile di Matteo si giocasse a pallone elastico e che hanno alzato i tetti e non ci si potrebbe più far rimbalzare la palla. I due sono lì, a parlare di tutto, a ricordare soprattutto. Mina ormai non ha più un buon rapporto col presente, troppo confuso, troppo veloce, e la malattia le consuma le pagine più nuove del suo diario quotidiano. Eppure stanno bene, mangiano con gusto e insistono a pagare per tutti. Li guardo camminare, insieme verso casa. Mi hanno cresciuto. Ne hanno passate di tutti i colori per quell'unico figlio. E qualche altro colore lo passeranno ancora. Lo so. E' sempre stato così.Ci ritroveremo nel Giardino Segreto a dirci che le cose cambiano, che bisogna aver pazienza, che tutto passa, e ancora una volta Dino mi farà assaggiare quel suo formaggio che invecchia nelle pezze di cotone come una sindone ovina. E Mina mi racconterà ancora di quando ero piccolo, di quando stavo per morire e poi non sono morto. E che in casa nostra, nel Giardino Segreto, c'è sempre posto per chi ha voglia di restare.


Buon anniversario, ragazzi.

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