Nazisti superstar

Nella narrativa contemporanea i nazisti occupano un posto di tutto rispetto. Dalla letteratura della restistenza, alle testimonianze, Levi, Pahor, Kertesz, Fallada, Lind  e tanti altri ai romanzi di coloro che non hanno vissuto il periodo ma che in qualche modo ne sono stati catturati come Littel. Poi ci sono anche quelli che hanno sfiorato la storia creando biografie più o meno romanzate delle superstar nere come Mailer, Genna e Binet. Quest'ultimo occupa un posto particolare.

Il fatto è che le storie hanno una funzione. Consolano, mettono ordine. Pensare che siamo appartenenti o figli o nipoti della generazione che a Babij Jar ha ammonticchiato centomila pesone vive per assasinarle una ad una, terrorizza. Raccontandone la storia, spiegando, chiarendo, ci sembra di riprendere il controllo. Non lo faremo più. Binet non ce la fa. Sceglie un episodio che è per certi versi marginale e per altri cruciale della Seconda Guerra (l'assassinio di Heydrich) e tenta di raccontarlo cercando di non incappare nella consolazione della lettertura. Non vuole inventare Binet e se lo fa si rimprovera, svela il meccanismo e lo rompe. Solo la verità. La narrazione non se ne giova, anzi i continui sturbi dello scrittore dopo un po' annoiano ma fanno riflettere.

Forse per la paura di guardare quello che possiamo diventare abbiamo trasormato l'estistenza in una grande storia i cui contorni si sfumano nel'invenzione e, noi, personaggi, ci lasciamo perdere in una eterna scena madre che poco ha a che fare con la realtà.

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